Chi come me l’ha votato alle primarie del centrosinistra, pur non lesinandogli pubbliche critiche, ha il dovere di chiedersi quale logica perversa abbia guidato Pierluigi Bersani a sbattere clamorosamente, prima perdendo milioni di voti e poi perdendo anche la faccia. Vi ricordate il fastidioso termine “ditta” con cui Bersani amava chiamare il partito, lasciando intendere che per lui vi è continuità diretta fra il gruppo dirigente del Pci e la nomenclatura attuale, fra il dalemismo di prima e il Penati di ieri fino all’Errani di oggi? Ebbene, nella logica spartitoria che aveva finto di voler superare, Bersani considera ancora il Pd una spa di cui gli ex-Pci sono azionisti insieme agli ex-Dc. Roba vecchia, l’idea dell’Ulivo calpestata dal pragmatismo con tendenze congenite all’affarismo e con spregio totale della democrazia interna al partito. La modalità con cui Bersani ha privilegiato il rapporto con Berlusconi fa parte di questa mentalità vetusta: l’idea che prima di tutto venga la salvaguardia del proprio gruppo d’appartenenza. Pessimo, ci ha defraudato, è venuto meno alle sue prerogative.
Insieme a Franco Marini mi auguro che per coerenza ora lasci al più presto anche Bersani.